giovedì 8 marzo 2012

Le rivolte arabe

Un anno e tre mesi: tanto è oramai il tempo trascorso da quando il giovane commerciante tunisino Mohamed Bouazizi, esasperato dalle ripetute vessazioni della polizia, si è dato fuoco di fronte al palazzo del governatore di Sidi Bouzid. Questa è stata la scintilla che ha fatto esplodere le rivolte in Tunisia, diventate poi la "Rivoluzione dei Gelsomini", che hanno in brevissimo tempo scatenato in tutto il mondo arabo (Tunisia, Yemen, Egitto, Gibuti, Giordania, Algeria, Bahrein, Libia) un vero e proprio effetto domino che ha portato a delle proteste con forme di resistenza civile, scioperi, manifestazioni e scontri sanguinosi: la Primavera Araba.

Questo insieme di sommovimenti, ben lungi dall'essere concluso ed a cui il mondo occidentale guarda apparentemente atterrito e preoccupato, ha portato fino ad oggi a già notevoli sconvolgimenti geopolitici dati dalla cacciata del presidente tunisino Ben Ali, di quello egiziano Hosni Mubarak e di quello libico Muammar Gheddafi. È tuttavia impossibile, nonchè insensato, cercare di prevedere ciò che verrà dopo; è però utile analizzare le cause di questa situazione e vedere cosa sta realmente succedendo, oltre la falsante strumentalizzazione mediatica, al di là del Mediterraneo.

I fattori scatenanti in quella precaria polveriera che già da alcuni anni il mondo arabo rappresentava sono stati in primo luogo la fame, causata da un brusco aumento dei prezzi dei beni alimentari primari -aumento dovuto, a sua volta, agli scarsi raccolti dell'anno precedente in Russia ed Argentina ed alle conseguenti speculazioni economiche-, la disoccupazione, il desiderio di cambiamenti nei corrotti vertici politici, la richiesta di maggiori libertà individuali e di tutela dei diritti umani. Anche se sommate tutte queste condizioni non sono però in grado di portare a delle sommosse popolari di tale entità: occorre quindi che vi sia una forte azione catalizzante e supportante che può venire solamente da forti organi di potere cointeressati a rovesciare i regimi contro cui il popolo si è schierato, o comunque desiderosi di salire sul carro dei vincitori. Organismi spesso occulti e di matrice esterna al paese in oggetto, si vedano i casi storici in cui determinante è stato l'intervento dei servizi segreti di URSS, USA ed Israele. I governi occidentali si trovano a doversi schierare tra l'incudine ed il martello (continuare ad appoggiare dittatori sanguinari ancorché compiacenti e politicamente stabilizzanti oppure schierarsi in difesa dei diritti umani e dei popoli oppressi?). Probabilmente non vi sarebbe tutto questo imbarazzo se vi fosse la speranza che i dittatori , se aiutati, possano reprimere le masse rivoltose. Tanto più che molti governi occidentali, inclusi i nostri, hanno solidarizzato con i dittatori investendo per decenni sui regimi africani e asiatici in cambio di materie prime e forniture energetiche. Cadendo i regimi si rimetterebbe tutto in discussione con gravi perdite economiche. Alla fine sulle ragioni umanitarie prevale il solito opportunismo politico, e quindi la scelta dei nostri governanti di appoggiare ufficialmente le masse in rivolta (cioè i sicuri vincitori di questa disputa) per captare la loro futura benevolenza , e nel contempo studiare il modo di addomesticarle e di impedire che il dilagare di questo effetto domino arrivi a minacciare sul serio la nostra sicurezza e la nostra sempre più precaria egemonia politica ed economica.
Un esempio recentissimo e scioccante è la rivolta sanguinosa da poco scoppiata in Siria: risale infatti al 10 febbraio c.a. L'annuncio ufficiale dato da Mosca, e confermato da numerosi agenti dell'ex KGB e da osservatori indipendenti operanti in loco che i primi a sparare, agli albori di quegli scontri che ora sono una vera e propria guerra civile, non furono i soldati di Assad ma misteriosi "miliziani", forse sauditi, nascosti tra la folla pacifica. Sempre dalla Siria viene la testimonianza di un civile, raccolta ad Homs dalla giornalista Silvia Cattari, secondo la quale i crimini attribuiti all'esercito di Assad-stupri, rapimenti, esplosioni di interi palazzi e diffusione del terrore- sono in realtà perpetrati da gruppi islamisti armati coadiuvati, udite udite, da 007 dei servizi segreti inglesi. E che dire dei 120 soldati francesi catturati nel quartiere di Bab Amr, sempre ad Homs, dall'esercito siriano, mentre erano impegnati a condurre una guerra segreta contro Assad, sebbene ufficialmente non risultassero operanti lì, ma al sicuro in Patria? (notizia del 13-02-2012 di Thierry Meyssan). E del fatto che un contingente di 600 "ex-ribelli" di Bengasi si aggirino in Siria capitanati da Abdelhakin Belhaj, sodale di Osama Bin Laden in Libia, coordinati ed armati dai reparti speciali della NATO della base turca di Iskendern, non dovrebbe far riflettere sul rapporto tra Al Quaeda e la sua acerrima nemica-paladina della giustizia NATO?

Pietro

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