domenica 11 marzo 2012

CRISI DELLA DEMOCRAZIA


Parlare di crisi della Democrazia può apparire quasi esagerato. Dopotutto viviamo in un momento storico dove l’idea della rappresentatività come sistema politico ha conosciuto almeno idealmente il suo trionfo, imponendosi come aspirazione globale alla libertà in contesti tra loro diversissimi (basti pensare all’esplosione della primavera araba,e in generale le numerose richieste di democraticità nei più svariati paesi).
Tuttavia la Democrazia, nel senso classico di liberale e rappresentativa, subisce un attacco molto incisivo nella sua stessa culla: l’Europa.
La crisi economica e finanziaria, scatenatasi sul vecchio continente negli ultimi anni, sembra testimoniare l’incapacità del sistema politico attuale non solo di governare, ma anche di riuscire ad assicurare giustizia ed eguaglianza sociale ai cittadini, disorientati da una problematica partita da lontana ma fattasi sempre più pericolosamente vicina, pronta a colpire alle fondamenta ogni certezza.
Un declino che non trova riscontri solo nell’opinione pubblica e “bassa”, ma anche a livelli istituzionalmente molto alti ,tanto da richiedere nei casi nazionali più gravi addirittura una sospensione della normale vita politica incentra su esecutivi eletti, o almeno qualcosa che somiglia molto a ciò.
Il riferimento pratico riguarda ovviamente i casi dei “governi tecnici” insediati in Italia e in Grecia, dove la stessa comunità internazionale ha sancito il fallimento delle rispettive classi politiche,spingendo per un cambio  della guardia in favore di personalità ritenute più affidabili dei leader uscenti, i famigerati “tecnici”.
Nel nostro paese non è la prima volta che si verifica una situazione del genere: in precedenza infatti ci si era trovati di fronte a compagini ministeriali senza politici presiedute da figure come Carlo Azeglio Ciampi (nel
1992) e Lamberto Dini (nel 1994), entrambi legati alla situazione attuale da un inquietante filo rosso, ossia
il fatto di essere prodotti di momenti di grave crisi e messa in discussione del sistema,rivelatosi bloccato e corrotto, a cui si tenta di trovare una via d’uscita ricorrendo a figure esterne,professionali ma non politiche.
Il governo Monti in questo senso è una sorta di versione “extra large”.Un esecutivo imposto da organi addirittura estranei al nostro paese,costruito sotto loro preciso input ,con programmi prestabiliti,lasciando fuori da tale “leggera “ decisione le maggiori vittime delle sanguinose scelte future,ossia i comuni cittadini.
Un golpe bianco vero e proprio,che nella patria della pizza e del mandolino si ricollega a un problema di deficit democratico esteso,un problema piuttosto sentito ma mai direttamente affrontato da chi di dovere,che si nota nell’impossibilità da parte degli elettori di poter votare direttamente i propri rappresentanti in parlamento (grazie al geniale voto di lista contenuto nella legge elettorale meglio nota come Porcellum), di poter vedere con trasparenza l’operato di questi,ipotetici funzionari pubblici, di poter influenzare in alcun modo le loro decisioni,anche sconfessandole in modo palese.Le difficoltà che si riscontrano nel rendere effettive le decisioni prese dai referendum popolari sull’acqua la scorsa estate sono una riprova di questa palude, da cui uscire sembra al momento quasi impossibile.
Una scappatoia da tale situazione potrebbe venire da una maggiore peso a procedure di tipo rappresentativo sull’esempio della vicina Svizzera, o almeno da una rinnovata attenzione alle problematiche provenienti dalla base e dall’uomo comune, un evenienza che però deve trovare una base di sostegno molto ampia, in modo da rendere,con la forza dei numeri, inattaccabile questa spinta.
Jonathan Gini e Luca Frosini

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