giovedì 8 marzo 2012

Il lavoro che non c'è



La crisi, prima ancora che sul debito pubblico di cui i telegiornali parlano quotidianamente, ha avuto effetti drammatici sull’economia reale, vale a dire sul lavoro (che non c’è), i salari (sempre più bassi), i diritti (giudicati privilegi). Secondo l’ISTAT il 9,2% degli italiani è senza lavoro e, dato ancor più preoccupante, i giovani in cerca di un impiego sono ormai uno su tre. 
Le varie battute del Governo circa la monotonia del posto fisso o la volontà degli italiani di restare accanto a mamma e papà sono un insulto ad una situazione reale di precarietà assoluta, non solo per i giovani, costretti a passare da un posto a progetto a una collaborazione, e nel frattempo a rimanere a casa nella speranza che qualcuno si accorga di quel curriculum inviato via mail e chiami per offrire qualche giorno di lavoro. Molti emigrano - quasi un milione dal Meridione al Nord, molti verso l’estero - ma molti altri non hanno le risorse per poter iniziare una nuova vita dignitosa in un luogo lontano da casa: già perché andare all’estero per lavoro non è gratis, cara Cancellieri. 
Nel tempo si è dimostrato come le deroghe alle tutele dei diritti dei lavoratori, espresse dalle migliaia di contratti pensate dai governi che si sono succeduti per legalizzare lo sfruttamento (i famosi contratti di stage in cui anziché apprendere un lavoro si portano i caffè al capufficio), non abbiano in alcun modo consentito una maggiore occupazione giovanile, ma solo la precarizzazione del loro futuro e una divisione ingiustificata tra tutelati e non tutelati. Questa divisione è oggi usata per dire “togliamo i diritti a tutti così saremo tutti uguali”, per generalizzare la miseria e la servitù. Il Governo intende perseguire non il modello tedesco di investimenti sulla ricerca, di lavoratori protetti e di alti salari, ma quello di alcuni Paesi del Terzo Mondo che puntano sulla quantità e sui bassi costi di produzione: questo significa bassa qualità dei prodotti e soprattutto incapacità del mercato di assorbire quanto viene prodotto. Se un lavoratore guadagna 700 euro al mese, come potrà mai permettersi un’auto da oltre 10 mila euro? 
Il mercato del lavoro italiano è saturato da lavoratori che hanno ormai oltre 60 anni ma che per legge non possono andare in pensione, lavoratori che rischiano vita e salute perché spesso ormai inabili alle mansioni a cui sono legati da più di 40 anni, o che semplicemente hanno perso la passione. Questi lavoratori, a cui per salvaguardare fantomatici bilanci il governo continua a impedire il meritato riposo, impediscono – non per loro volontà - ai più giovani di entrare nel mondo del lavoro. 
È oggi più che mai necessario estendere i diritti dei lavoratori a tutti, anche a chi entra per la prima volta, è indispensabile che le imprese e gli enti pubblici adottino un sistema di formazione del personale per evitare il corto circuito della richiesta di esperienza (chi forma per la prima volta un neo-laureato o peggio ancora un neo-diplomato?)
La strada da percorrere è quella di reinvestire i soldi che sono ad oggi in budget per costruire i caccia-bombardieri negli USA e per fare una rete ferroviaria atta a trasportare scatolette di tonno a 300 km/h per il sostegno alla ricerca e all’occupazione. Anziché spendere per mantenere una classe politica tra le più strapagate e corrotte del mondo sviluppato bisogna  attuare piani nazionali per l’efficienza energetica con produzione di sistemi per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili e per il riassesto idrogeologico di modo che la pioggia non provochi più altri morti.

Stefano Rognoni

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