martedì 12 giugno 2012

Perché difendete il crocifisso e dimenticate gli immigrati?


Don Gallo

Ormai da anni in Italia, il tema degli immigrati irregolari – erroneamente chiamati clandestini – occupa giornalmente le pagine dei quotidiani nazionali perché, nel corso degli anni, gli stranieri senza permesso di soggiorno hanno assunto caratteristiche di stabilità e stanziamento, nonostante il loro status giuridico li renda invisibili e li confini ai margini della società. Negli ultimi mesi del 2011 e nei primi del 2012, le notizie relative agli immigrati irregolari sui giornali online scorrono senza sosta: “Clandestini gratis sul tram. L’ultima idea di Vendola”, “Milano. Asili aperti anche ai figli dei clandestini”, “Una legge italiana garantisce ai cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno il diritto alla salute” e, ancora, “Controlli dopo la rissa, fermati sei rom clandestini”: si potrebbe continuare ancora per pagine intere a trascrivere i titoli apparsi sui giornali e sulle riviste.
Gli immigrati senza permesso di soggiorno esistono e, lungi dal condurre un’esistenza da invisibili, occupano quotidianamente le pagine dei giornali e sono al centro di aspri e accesi dibattiti politici e culturali. Lo straniero irregolare è accettato dalla popolazione solo perché è utile e spesso insostituibile; la retorica di certi discorsi politici – quelli che individuano nello straniero un ladro di posti di lavoro e una persona che ha più diritti degli italiani stessi – rappresentano un mero tentativo di distogliere l’attenzione da un fenomeno ben più eterogeneo e intricato. Ciò di cui però i media e molte forze politiche si dimenticano – anche quelle che si definiscono più aperte e liberali – è che a Como, come in tutte le altre città italiane, gli stranieri in condizione irregolare esistono, vivono, lavorano, hanno figli, si fanno curare, frequentano amici e hanno progetti di stanziamento allo stesso modo di coloro che possiedono il permesso di soggiorno. Nonostante questo, la loro vita si dipana al di fuori della regolamentazione legislativa poiché, per lo Stato italiano, i “clandestini” devono essere espulsi, controllati, respinti alla frontiera o rinchiusi nei tristemente famosi CIE: in poche parole, gli italiani non devono accorgersi della loro presenza. Salvo il fatto che la prassi risulta essere molto diversa dalla realtà che il governo e i giornali offrono al pubblico; gli stranieri, si sa, hanno sempre rappresentato un’utile manodopera per i Paesi dell’Occidente e, oggigiorno, gli stranieri irregolari sono ancora più convenienti all’economia e al welfare italiani perché, vivendo da invisibili, più facilmente si può negar loro una serie di diritti garantiti agli italiani e agli stranieri regolari. Infatti, le donne dell’Est Europa, volgarmente dette badanti, servono a curare gli anziani non più autosufficienti, gli operai disposti a fare turni di lavoro estenuanti sono convenienti per le imprese, le colf puliscono bene le case degli italiani e il muratore egiziano è disposto a lavorare per un salario notevolmente più basso rispetto a un italiano.
Gli stranieri irregolari sono tutti legati con un doppio filo alla madrepatria e al Paese che li accoglie, o meglio, li accetta, in questo caso l’Italia; alcuni hanno progetti di stanziamento definitivo, altri vorrebbero tornare dalla famiglia rimasta nella terra d’origine e altri ancora sognano
di ricongiungersi con i figli sul territorio italiano. Tutti però, per il momento, risiedono in Italia e tutti i giorni devono confrontarsi con una realtà difficile e complessa, in cui le pratiche adottate per trovare lavoro, tentare di regolarizzarsi, sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine e per provare ad integrarsi sono improntate alla prudenza e all’accortezza, poiché sono molteplici le paure e le incertezze che permeano la loro vita da irregolari.
Nonostante l’eterogeneità dei governi che si sono succeduti nel corso degli ultimi decenni, le politiche sull’immigrazione in Italia sono sempre state basate sull’esclusione ed estromissione da alcuni diritti – tra cui il diritto alla salute, all’istruzione, a lavorare in regola e a votare – riservati agli italiani e stranieri in possesso di regolare permesso di soggiorno.
Alcuni scelgono di emigrare per motivi economici, motivando la loro decisione come frutto di una risoluzione ponderata e che ha come scopo principale la ricerca di un lavoro che permetta loro di guadagnare più che in patria e poter così condurre una vita migliore. Ciò che però queste persone non calcolano è che l’Italia non è l’El Dorado che pensano, poiché la conseguenza diretta della loro condizione di irregolarità è un lavoro in nero, privo di alcuni fondamentali diritti e che permette a stento di mandare a casa rimesse e di accumulare sufficiente denaro per fare progetti di stanziamento definitivo o di ritorno in patria.
La regolarizzazione viene a porsi come il coronamento del difficile cammino dell’immigrato verso il raggiungimento di un’integrazione spesso negata e di un inserimento ostacolato da un’assurda legislazione che si preoccupa principalmente di attirare voti e nascondere manifeste realtà di uomini e donne che in Italia sperano di rimanere.
Moustafa, immigrato irregolare in Italia da parecchi anni, riassume con poche parole quello che significa vivere da “clandestino”, in un Paese che nega l’accoglienza a chiunque sia considerato diverso:
“La parte più bella della mia vita l’ho passata qui. Il migliore momento della vita, quando puoi vivere e goderti la vita l’ho passata soffrendo qui in Italia. Perciò cosa devo fare? Rimango qui a lungo? Per ora mi è andata bene, non ho mai dormito per le strade, ma ho fatto fatica. Nessuno può immaginare la fatica che ho vissuto, a volte esco per piangere, ogni tanto esco, mi metto così, fino a che passa.”






Eleonora Figini

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